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Quando lui se ne andò, per giustificarsi, le disse che la sua vita si rigenerava solo desiderando, e partì alla ricerca di un nuovo amore.
All'inizio Anna non si capacitò. Erano stati insieme appena un anno e, dalle sue parole, sembravano fossero passati dieci anni. Lo aveva accettato nella sua vita, accolto nella sua casa, per condividere con lui ogni momento della giornata, ogni ora della notte. Sembrava sincero quando gli sussurrava parole dolci, quando la trascinava in un vortice di sesso senza limiti e confini.
Mentre pianificava il loro futuro, le ripeteva che senza di lei la sua vita non avrebbe avuto alcun senso, alcuna ragion d’essere.
Le promise che un giorno si sarebbero sposati e popolato la casa di tanti bambini; perché una coppia senza figli è come un cielo senza stelle, sempre buio e senza luce. Accanto a lui si era sentita bene, ora lui la lasciava.
Era stato un anno tanto diverso dagli altri, si era impegnata molto nell’essere paziente e accondiscendente, perché non voleva che la relazione sfiorisse; almeno, non per colpa sua. Invece, l’aveva lasciata.
Nella vita aveva amato solo un uomo, e non era stato lui. Giulio, il compagno che lo aveva preceduto, era stato con lei quattordici mesi e, fin dall’inizio, le sembrò un pezzo di ghiaccio. Nonostante questo, le piacevano i suoi profondi occhi celesti, i riccioli biondi che gli scendevano copiosi sulle spalle, le incredibili labbra carnose che sembravano dipinte con il sangue, il suo fisico statuario perennemente abbronzato. Quando facevano l’amore, percorreva con le mani e le labbra quel magnifico corpo e le sembrava di essere Afrodite che amava Adone. E, come Afrodite, sarebbe stata disposta ad uccidere pur di tenerlo solo per sé. Non volle arrendersi all’evidenza che era un amore impossibile, neppure quando, tornando anticipatamente un pomeriggio a casa, lo trovò nel suo letto con un altro uomo. Si disperò, disse che era disponibile a condividerlo, purché non la lasciasse. Da lui non ricevette un rifiuto, ma dell’altro sì, è la storia finì.
Prima di Giulio c’era stato Maurizio, un professore di filosofia, non molto bello ma che riusciva sempre a farla ridere, anche su argomenti futili. Lo conobbe durante una vacanza in Toscana e subito le piacque come parlava, come argomentava gli eventi fondamentali allo scorrere della vita, il suo amore per l’arte e le lettere. Vissero insieme quasi due anni, intensamente. Quasi tutti i week-end li trascorrevano in giro per mostre, musei, dibattiti, o nel fare lunghe passeggiate tra i boschi o al mare. Durante la settimana Maurizio faceva spesso tardi la sera, impegnato in conferenze, riunioni accademiche o cene di lavoro. Questo le lasciava la possibilità di coltivare il suo hobby per la musica jazz, il cinema, e per incontrare le sue amiche. Lui era contrario al matrimonio, che definiva un retaggio borghese, inventato al solo scopo di stabilire con un contratto, la reciprocità del possesso tra umani. Lei si adeguò, sperando in un suo ripensamento. Quando lo arrestarono, perché sorpreso a fare sesso con una studentessa minorenne, venne a galla che era a capo di una rete di insegnanti pedofili, che barattavano buoni voti con il sesso. Venne condannato a quindici anni di carcere, così lei non lo vide più.
Ancora prima c’era stato, per poco meno di sette mesi, Orazio, un ragazzo che a dispetto del suo nome, era un borgataro ignorante, che però, come il poeta romano, amava provare tutti i piaceri della vita. L’aveva conquistata proprio per questo stile di vita, leggero ed esuberante. Il motto che le ripeteva, letto chissà dove, era proprio del poeta Orazio: "Gustati ogni giorno, confidando il meno possibile nel domani". Infatti, lo trovarono morto in un cimitero, mentre giaceva sul corpo di una ragazza, morta anch’essa, mentre praticavano Bondage.
E andando indietro nel tempo, tanti altri uomini, ognuno con un suo segno distintivo, a volte unico, a volte scimmiottato da altri. E lei, tutte le volte si era lasciata abbindolare, sperando di potersi rinnamorare.
Le era capitato una volta sola di innamorarsi davvero e non lo aveva cercato; si era presentato all’improvviso e le si era impiantato nella mente, nel corpo, negli occhi. Era un amore impossibile, irraggiungibile, imprendibile; un amore irrealizzabile. L’amore di una bambina di dieci anni, o piuttosto l’infatuazione di un adolescente per il proprio padre. Legittima ma ossessiva. Impudica e lussuriosa. Talmente audace nei gesti e disonesta nelle apparenze, da frantumare ogni barriera morale, nel dissoluto obiettivo di diventare donna per mano sua. Quando la madre si accorse del misfatto, non valsero a nulla le sue parole di discolpa per lui e di colpa per lei. La sentenza del giudice non ammise le sue giustificazioni e condanno l’uomo al carcere e lei a vivere in una comunità protetta, fino al raggiungimento della maggiore età. Quando ne uscì, il padre non c’era più e neppure la madre. Le avevano lasciato la casa, dove aveva scoperto l’amore e dove si consumavano, con ripetuta ritualità, i suoi disperati tentativi di riviverlo.

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