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Erano due settimane che non sentiva Monica, l’aveva rimossa dai pensieri, e in procinto di archiviarla nella memoria. Era stato un idillio fuggevole, si erano piaciuti e s’erano presi, così, quasi senza convinzione. Erano troppo diversi per avere qualche speranza che, terminata l’infatuazione dei sensi, potessero continuare il loro rapporto in una qualche direzione futura.
Improvvisamente lei prese ad accompagnarlo nei sogni. La prima volta che successe, il sogno gli rimase impresso fino a mattino inoltrato. Era stato un sogno insieme strano e dolce.
Si trovava in un bosco, circondato da alberi ad alto fusto, che gl’impedivano di vedere il cielo, rendendo cupo e notturno l’ambiente circostante.
Camminava senza sapere la sua meta né cosa stesse cercando. Era solo, in un bosco molto fitto, eppure non provava alcun timore, era calmo, rilassato. Avvertiva che tra gli alberi avrebbe trovata lei, o forse sperava che accadesse, ma era solo, desolatamente solo. Vedeva ma non udiva rumori, non percepiva odori. Mentre sognava si soffermò su quel particolare e ripensò alle altre volte che ricordava di aver sognato. Possibile, pensò, che nei sogni, l’unico senso che si avverte sia quello della vista che in soggettiva, ti fa vivere quanto accade, mentre gli altri sensi sono completamente spenti? Sognava e rifletteva. Non sapeva perché la sua mente lo faceva, eppure continuava a camminare cercando di udire qualche rumore, di ritrovare qualche profumo, piacevole o stizzoso che fosse. Invece nulla. Sembrava di essere in un film muto. Quando si risvegliò, aveva l’ombra di lei davanti agli occhi e il suo profumo che saliva gradevolmente nelle narici.
Si alzò per fare colazione e sul cellulare trovò una notifica: era Monica. Le proponeva di andare ad ascoltare dei suoi amici che facevano musica dal vivo in un locale, e dopo, se avesse voluto, sarebbe potuto restare da lei. Che coincidenza, pensò, l’aveva sognata, seppure in una circostanza che lo aveva turbato, e lei ora riappariva, come fosse uscita dal sogno e volesse sottendere che esisteva.
La rivide con più piacere delle altre volte e anche nello stare insieme quella notte provò uno stato di benessere appagante. C’era qualcosa che frullava in lui, non certamente amore, forse solo curiosità, o solo il piacere del sesso. Fatto sta che cercò di ricontattarla qualche giorno dopo, senza ricevere risposta.
Quando avvenne di nuovo, si trovava nello stesso punto in cui si era concluso il precedente sogno. Era com’essere in una serie televisiva, con tanto di review. Decise di fermarsi in una radura e sedersi su un tronco per godere del tepore del sole: quello lo avvertita chiaramente; che in un cielo assolutamente terso brillava imponente. Alzò il viso e chiuse gli occhi, per cogliere più intensamente il calore che gli invadeva il corpo. All’improvviso avvertì l’ombra di qualcosa che si frapponeva tra lui e la luce. Aprì gli occhi e davanti a lui c’era lei, Monica, che sorridendo le tendeva la mano. Stupito si alzò per afferrarla e, con passo leggero, lo guidò verso un’altra radura. Ricordava che indossava un lungo vestito pieno di riquadri colorati, la testa era contornata da una treccia che metteva in risalto il viso, i piedi erano nudi. Quando le prese la mano avvertì una delicatezza nella pelle che la faceva sembrare inconsistente, una nuvola. Il lungo braccio era come una corda alla quale si aggrappava per non perderla. La guidava e con il viso sorridente si voltava a guardarlo, chiudendo leggermente gli occhi.
La mattina dopo si svegliò sudato, come se una parte del sogno che non ricordava gli avesse lasciato un’ansia, dissonante però con la beatitudine del ricordo.
Alcune notti dopo tornò a sognarla: di nuovo nel bosco. Sembrava essere diventato il nascondiglio segreto dove incontrarla: un bosco incantato. Si domandò se non avesse fatto male a non raccontarle nulla. Si erano sdraiati sull’erba, tenendosi per mano. Quella mano, che sentiva inconsistente, lentamente svanì. Quando si voltò, la vide piangere mentre svaniva del tutto. Si svegliò di soprassalto, gli occhi spalancati nel buio della stanza. Accese la luce, prese la bottiglia d’acqua dal comodino e bevve avidamente. Cercò il cellulare per chiamarla e sul display comparve l’orario: le tre e mezza. Ebbe un moto di stizza, gli sembrava inopportuno e allo stesso tempo fremeva per parlarle. Restò qualche minuto a riflettere con la testa appoggiata sul cuscino, il telefono appoggiato sulle gambe e gli occhi che fissavano il soffitto.
La prima luce dell’alba fece capolino dalla finestra. Tornò a guardare il display del cellulare che indicava le sei e venti. Era rimasto in quella posizione quasi tre ore, senza fare assolutamente nulla, con un profondo vuoto nella testa. Cominciò a preoccuparsi del suo stato. Finora non gli era mai successo di fare sogni così angoscianti. Tutta l’intera storia sembrava simile a un incubo e non ne capiva la ragione. Decise che non l’avrebbe chiamata. Forse era meglio non incontrarla più, cancellandola definitivamente dalla sua vita.
Nei giorni seguenti non poté fare a meno di ripensare a quel sogno che, per fortuna, non si era più ripetuto. I mesi passavano e la vita aveva ripreso il monotono ma soddisfacente tran-tran; quasi non ricordava più il volto di Monica. Era stato il più brutto incubo della sua vita.
Il giorno del suo compleanno, il quarantesimo, Carlo, uno dei miei migliori amici, organizzò una festa a sorpresa, inaspettata e riuscitissima. Quando portò la torta illuminata da quaranta candeline colorate, prima di passargli il coltello disse che era giunto all’età delle scelte che non si possono evitare, e si augurava fossero definitive e proficue di una vita serena e appagante. Spense le candeline e con un fendente netto tagliò la torta. Gli venne da replicare che aveva ragione circa la necessità di una svolta, che avrebbe assecondato con la stessa determinazione che avevo dato al taglio. Saltarono molti tappi di spumante e mentre riempiva i calici, ringraziando per gli auguri, nella penombra dei lucciconi che, rotto dall’emozione, avevano invaso gli occhi, intravide un’ombra che si avvicinava. Vide una mano protesa, e sentì la voce di Carlo accanto alla figura: Stefano, voglio presentarti mia cugina appena venuta dalla Francia, Monique.

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