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Dalla sua camera udiva tante voci che parlavano una sull’altra. Un vociare ininterrotto come quando andava al mercato settimanale con la madre.
Il buio della stanza era appena rischiarato dalla luce che si faceva strada dal piccolo spiraglio della porta socchiusa. Immobile nel letto ascoltava, cercando di isolare ogni singola voce per riconoscere a chi appartenesse.
Improvvisamente le voci si zittirono e la porta, lentamente, si aprì. Chiuse gli occhi mentre il cuore prese a battere velocemente. Sentì la porta richiudersi e percepì il buio che invadeva la stanza. Riaprì gli occhi e udì che le voci avevano ripreso a parlare, stavolta sommessamente.
Il cuore aveva ripreso a battere regolarmente, nonostante l’agitazione per la paura di essere scoperta. Erano due giorni che in casa c’era uno strano fermento senza che nessuno si preoccupasse di dirle il perché.
Andrea, il fratello maggiore, aveva ripreso possesso della camera che aveva prima di sposarsi. Inizialmente aveva pensato che avesse nuovamente litigato con la moglie. Faceva così ogni volta che accadeva, poi Teresa dopo uno o due giorni, tornava a riprenderselo e lei dal muro della sua stanza che confinava con quella del fratello, sentiva prima un furioso litigio, poi dei lunghi pianti e infine dei respiri forti e stanchi. Aveva imparato che quella era la fine della permanenza del fratello a casa loro. Stavolta però era stato diverso, Teresa era venuta a casa, poco dopo di lui.
Il padre e Carlo, il fratello più grande di lei, invece, erano partiti all’improvviso, in fretta e furia, senza neppure salutarla. Quando chiese alla madre dove fossero andati, ricevette una carezza mista a lacrime che la contagiarono, senza sapere il perché. Nessuno sembrava accorgersi che ormai aveva dieci anni, stava crescendo e quello che le accadeva intorno, non le era più indifferente.
Aurora voleva sapere. Scese dal letto, aprì la porta della stanza e sgattaiolò nel corridoio, nascondendosi dietro un mobile da cui poteva ascoltare meglio, senza essere vista. Ora riconosceva chiaramente la voce della madre, del fratello Andrea, della moglie Teresa, dello zio Giuseppe e della moglie Carmela, dello zio Francesco e dell’avvocato Ruzzillo, che Andrea chiamava “zuzzillo”, perché diceva che era una persona sporca fuori e dentro. Sentiva le voci ma non aveva ancora capito su cosa discutessero.
Immaginò tutto, quando l’avvocato sbottando disse: Scappare in Francia non è stata la scelta migliore, li arresteranno ugualmente e il magistrato potrà chiedere di confiscarvi tutto, per evitare che possiate aiutarlo a fuggire anche da lì.
Dopo l’esame di stato, Aurora si era iscritta a giurisprudenza, certa che solo diventando padrona dei codici, poteva cancellare l’onta della vergogna che la sua famiglia stava ingiustamente subendo, dopo che i magistrati comunisti di “mani pulite”, alfine di mettere fuori gioco un’intera classe politica, avevano coinvolto nel mucchio tante persone oneste e perbene: Come suo padre.
Quando ormai laureata, Aurora venne a sapere che, seppure con l’onore macchiato, il padre sarebbe ritornato nella città che aveva guidato per tanti anni, con onestà, serietà e tenacia; decise che avrebbe dedicato ogni sua risorsa per riscattare il cognome della famiglia. Consapevole che per raggiungere l’obiettivo sarebbe stato necessario un riavvicinamento con la città, Aurora aveva intrecciato, grazie alla sua faccia pulita e l’ineffabile colloquialità che la contraddistingueva, rapporti con ogni tipo di associazione cittadina, da dirottare, al momento opportuno, verso la sua scalata al potere.
Quando il tempo le sembrò maturo, comunicò la sua intenzione alla famiglia, che solo allora comprese le ragioni del suo sfrenato attivismo, e l’avversò con decisione. Profondamente delusa, radunò i suoi amici nella magnifica villa del Circeo, non ancora definitivamente sottratta alla famiglia, per comunicare loro che non avrebbe preso più parte al progetto dell’”assalto al palazzo”.
Nel discorso che fece, trasparì l’avversità della famiglia e Ugo, ex militante anarchico, convertitosi all’ecologismo, si schierò per la rivolta contro “i mali dei padri” e la rivincita dei figli. Eleonora, invece, la rimproverò per averne parlato alla famiglia, ancorata troppo ai vecchi schemi di potere. Solo Savio, tra le variopinte voci che si confrontarono per ore, realizzò la vera ragione del rifiuto: è perché non ti ritengono affidabile e quei quattro, cinquemila voti che ancora controllano, sono la garanzia dell’immunità di cui ancora godono. Non volermene Aurora, ma io la penso così.
Quella sera Savio pagò caro, l’aver infranto le illusioni di Aurora sui motivi dell’inossidabile popolarità del padre. Si dovette accontentare di dormire sul divano nell’anticamera di Aurora, per poi ritrovarsela al mattino su un cuscino, distesa a terra a fianco del divano, tutta rannicchiata per il freddo. La guardò sfiorandole con le dita i capelli e, quando lei aprì gli occhi, le scivolò accanto coprendola con il plaid e dicendole: prima ti voglio amare, poi ti dirò quale consiglio mi ha portato la notte.
Tornare a Parigi, con la consapevolezza che il suo volontario esilio, sarebbe durato per tutta la vita, fu il migliore suggerimento che Eleonora le avesse dato, dopo la tragica fine dei suoi sogni di rivalsa. Savio lo aveva fatto qualche mese prima di lei, decidendo di accettare un lavoro a Euro Disney, quando si era accorto che la macina del malaffare, dopo avere spremuto la parte migliore dei loro ideali, stava ripassando sui loro corpi per ridurli a un irriconoscibile poltiglia.
Era stato proprio lui a suggerire, ad Aurora, la via d’uscita per l’”assalto al palazzo”. Lo aveva fatto perché l’amava e non voleva perderla, e perché credeva davvero che solo partecipando, avrebbero potuto cambiare le cose. Fu così che Aurora si ripresentò in famiglia, mettendo sul tavolo la forza organizzativa delle varie associazioni che si sarebbero federate in un soggetto unico, in cambio di una loro partecipazione alla gestione della città. Quando si rivide con gli amici, disse che non c’era stato bisogno di trattare, avevano accettato senza riserve. L’unica cosa su cui la sua famiglia era stata irremovibile, era il nome del candidato a Sindaco: il fratello Carlo.
Credeva che quel nome, seppure mai sfiorato da pettegolezzi o maldicenze, potesse non essere gradito ai suoi amici. Trovò, invece una sorprendente unità, forse dovuto al fatto che alle associazioni erano garantiti tre assessorati e cinque deleghe.
Una trionfante campagna elettorale, li portò al ballottaggio e alla vittoria. Tutto sembrava procedere per il meglio e Aurora girava a testa alta nella città, dove il fratello era diventato Sindaco per volontà della gente, a riprova che la sua famiglia non era mai stata collegata al malaffare.
Il sogno cominciò a sfaldarsi quando vi furono le prime incomprensioni sul programma con cui avevano vinto le elezioni. Il Sindaco interveniva sull’operato della giunta dettando le sue priorità, fino ad arrivare alla rimozione degli assessori, che riteneva ostili al suo operato. Le associazioni dichiararono la rivolta e lui ne approfittò per disarticolarle, foraggiando con delle deleghe i più malleabili.
Due mesi dopo la polizia si presentò a casa del Sindaco per arrestarlo. Era accusato di un illecito interessamento, dell’affidamento, a persone di sua fiducia, dei beni confiscati alla sua famiglia, tramite la malavita organizzata.
Ora che si trovava anche lei a Parigi, Aurora, sperava solo di poter ritrovare il suo Savio e riuscire a rifarsi con lui una nuova vita, lontana dalla sua città e dalla sua famiglia.

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